«La diversità biologica è una delle risorse fondamentali per l’uomo, come le risorse idriche e quelle energetiche. Il mantenimento di un’elevata biodiversità nell’ambiente deve, quindi, rappresentare un obiettivo irrinunciabile per le attività produttive, soprattutto nel settore primario.
L’agrosistema non può essere considerato un vero ecosistema, tuttavia, rappresenta la migliore delle soluzioni possibili per garantire nel contempo qualità dell’ambiente e qualità delle produzioni. L’agricoltore moderno deve porsi il problema di come favorire la biodiversità in azienda e gestire i rischi di una sua possibile riduzione in quanto è stato dimostrato lo stretto rapporto tra qualità biologica dell’ambiente e salubrità dei prodotti.
Il ricorso a tutte le “buone pratiche agronomiche” che garantiscono la conservazione della fertilità dei suoli, la corretta gestione delle risorse idriche, il controllo delle infestanti dei parassiti attraverso metodi a basso impatto ambientale, contribuisce al mantenimento della biodiversità negli agrosistemi. Ulteriori interventi, che favoriscono la diffusione di siepi campestri, di specie nettarifere e l’uso di rotazioni poliennali possono incrementare la diversità biologica sul territorio, migliorando, nel contempo, la qualità di aria, acqua e suolo.»
Tratto da: biodiversityfriend.org
Al contempo la diversità biologica in agricoltura rappresenta un sottoinsieme della diversità biologica generale e si esprime in termini di varietà e razze locali di interesse agricolo, zootecnico e forestale.
Come evidenziato dal Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo, approvato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nel 2008, la conservazione delle varietà locali non è realizzabile se non nel bioterritorio, con le tecniche agronomiche dettate dalla tradizione rurale locale, in un rapporto strettissimo e di dipendenza reciproca, tra chi effettua la conservazione “ex situ” (banche del germoplasma) e chi effettua la conservazione “in situ” (coltivatori custodi).
La possibilità reale di recupero e di reintroduzione nel bioterritorio o zona tradizionale di coltivazione, inoltre, deve essere necessariamente legata alle politiche di valorizzazione delle produzioni dei coltivatori custodi e al sostegno che essi possono ricevere per continuare l’attività di coltivazione delle varietà locali, soprattutto quelle a rischio di estinzione.
A questo proposito si evidenzia che alcune Regioni, come la Campania, il Lazio, le Marche, il Piemonte, la Toscana, il Veneto e l’Umbria, hanno legiferato in materia di tutela delle risorse genetiche autoctone, anche con specifiche leggi ad hoc.